Vita immaginaria

Vita immaginaria


Un lunedì notte di quasi metà Maggio.
Volo Torino Cagliari. Cerco il numero segnato nella carta d’imbarco, ripongo il bagaglio, prendo posto, mi do una sistemata.
E poi tiro fuori un libro.
Uno della decina che sono riuscita a incastrare, con attenzione, nella tasca dello zainetto sotto il sedile. Sono stremata, penso che a breve mangerò a casa e dormirò nel mio letto ma devo leggere.
Ora devo leggere.
Non mi sorprende ma mi fa molto sorridere che appena do uno sguardo fugace attorno a me, vedo altri che fanno esattamente lo stesso. Credo sia il volo più letterario a cui si possa partecipare. Ci sono persone che conosco, alcune sono state con me nei giorni appena trascorsi, altre non ho idea di chi siano… ma leggono. È bellissimo.
È il primo effetto del Salone Internazionale del Libro di Torino. Poi devo ammetterlo, un po’ li chiudo gli occhi in volo e lì, tra il nero delle palpebre e tutto quello che c’è dietro, continuo a vedere gli stand numerati, le frecce che indicano i padiglioni, la moquette celeste, le svolte tra i corridoi, i grandi cartelli con le lettere in alto, la gente, la torre di libri. Sono così sollevata che un po’ di quella magia rimanga ancora incastonata lì dentro a tenermi compagnia. Vedo lo stand K149, Argonautilus – Fiera del Libro di Iglesias, comunemente chiamato “da noi” nei giorni in cui ha fatto da appoggio, punto di partenza e di passaggio di tanti ospiti e amici, casa.
Suona così bene… “da noi”.
Ci riabbracciamo come se non ci vedessimo da tanto quando invece abbiamo ancora, meravigliosamente addosso, la nostra Fiera. Loro sono qui dall’inizio e sono provati ma felici di vederci arrivare. Hanno fatto già un gran lavoro. 
Sento le voci, le risate, le chiacchiere degli amici che da cinque anni mi rendono la possibilità di vivere esperienze come queste che sono diventate routine, ritorni, ma che serbano sempre qualcosa di nuovo da imparare, da aggiungere. 
Nuove persone, idee, scambi, progetti, segreti, accorgimenti per vivere al meglio la bolgia che inevitabilmente trascina in un mix di gioia e mal di piedi. 
Io, respiro gratitudine. Mi sento molto fortunata ad esserci.
Sono stata a un evento che tra capire dove andare, coda, incontro in sé, fuga ed ennesima fila per il firma copie mi ha tolto circa tre ore di tempo ma mi ha dato un solo pensiero: GRAZIE.
Joël Dicker ha detto: “Io non scrivo per compiacere i lettori. Io scrivo per condividere.”
E io, sono un’eterna sostenitrice della condivisione. Trovo sia la forma più bella di quell’Attenzione che tanto abbiamo sviscerato nel nostro Aprile. A un passo da noi, nello stand della Regione Sardegna, ieri e oggi hanno convissuto in armonia come davvero, da un po’, succede nella nostra Terra. Le radici sostengono questo presente in fermento, che rivolge uno sguardo al passato e tende fortemente al futuro. Tutto ciò, grazie all’importanza della comunicazione e aggiungendo sempre più nodi alla rete che da tempo Argonautilus ha teso tra le diverse realtà della nostra isola e oltremare. C’è un solo centro attorno al quale si crea e si espande questa rete: il libro, i libri. 
La lettura, la scrittura, le parole. E il Salone Internazionale del Libro è la dimostrazione in gigantesco, di quanto si possa fare. Essere una parte infinitesimale di tutto questo, rende felici. 
Abbiamo chiesto, scherzosamente, al ragazzo che lavorava e gestiva la fila nei bagni, cosa avesse da sorridere ancora, al quinto giorno di Salone. Lui ha risposto che gli veniva naturale. Tutte le cose assumono significato dalla prospettiva in cui le si guarda, dal vivo.
Come da un sorriso, stanco ma presente.
Poi c’è Torino. Una città che non ho apprezzato da subito, che all’inizio mi era parsa piatta, troppo somigliante a qualcosa che non mi piace, ostile. Quanto sono felice di essermi sbagliata. Sarà che la vedo con occhi che pescano le sensazioni da dentro ma ora, di Torino, m’innamoro sempre di più. È così elegante, variegata, senza pretese. Non si impone, ma silenziosa ti entra nelle viscere a piccoli passi, a partire da una notte quasi gotica di primavera per continuare al sole, in mezzo al verde di un parco. È bella anche quando piove, seppure odi la pioggia. Mi sfida a uscire fuori nel terrazzino di una casa che amo, per guardare gli alberi e i suoi tetti dall’alto. 

“E tuttavia in qualche momento abbiamo pensato che, se non avessimo avuto una vita immaginaria, non avremmo forse trovato le strade della vita creativa.”
Natalia Ginzburg

© Erika Carta

Iglesias come Hogwarts

Iglesias come Hogwarts

Hogwarts non era mai stata qua.

E me ne rendo conto soltanto ora. Ora che la  Fiera del Libro di Iglesias si è conclusa lasciando già dietro sé una scia di quelli che diventeranno, come ogni volta, ricordi preziosi e semi nuovi a cui prestare Attenzione.

Il 25 Aprile dell’anno corrente, si prenda nota, Iglesias è diventata “Iglesias come Hogwarts”.

Per la prima volta ho visto realizzarsi un sogno, di cui personalmente avevo avuto un meraviglioso assaggio per i miei trent’anni, su larga scala.

Argonautilus, Iglesias e Hogwarts.

Casa. 

È così che le considero, tutte e tre. 

La mia casa Argonautilus ha portato a Iglesias, casa mia, Hogwarts… che è casa.

Non so se rendo l’idea.

Io che ho sempre un mare di parole, questa volta non sono sicura di riuscire a esprimere davvero quello che provo.

Forse perché ancora non ci credo, forse perché tutto mi sembra essere accaduto in una dimensione… magica.

“È vero tutto questo? O sta succedendo dentro la mia testa?”

“Certo che sta succedendo dentro la tua testa. Dovrebbe voler dire che non è vero?”

Harry Potter non morirà mai.

Ci sarà sempre qualcuno che ne parlerà, ci sarà sempre più d’uno che lo rileggerà e ci sarà sempre chi, abbassate le difese, i preconcetti, si accingerà a conoscerlo intimamente per la prima volta e non lo abbandonerà più.

Lo amerà. 

Perché difficile è il contrario.

J.K. Rowling a un certo punto ha sentito il bisogno di raccontare ciò che aveva dentro, solo lei sa cosa. 

E lo ha trasformato in quella che è diventata una storia immensa, mondiale. Unica.

“Non ci sarà bambino nel nostro mondo che non conoscerà il suo nome.”

I libri di Harry Potter sono davvero come un abbraccio a cui tornare “ogni volta che sei arrabbiato o spaventato”. 

Sempre.

E così, Argonautilus, arrivata alla IX Edizione della Fiera del Libro di Iglesias ha pensato bene di celebrare questa magia dedicando una delle quattro giornate proprio a Harry Potter, con una Edizione 0 di “Iglesias come Hogwarts”.

Ricordo come ha preso il volo questa idea… a partire naturalmente dalle pagine dei libri, dalla lettura. 

A quanto tempo è rimasta ferma nell’incertezza e nel silenzio. 

A quando, in una sera non lontana, l’Esercito di Silente ha preso in mano la situazione, ha ingranato la marcia ed è partito definitivamente senza poter tornare più indietro. 

A quante volte ha vacillato e infine a come realmente si è realizzata.

Mi viene da sorridere con tutto il cuore. 

Posso immaginare la reazione dei potteriani di ogni età, sfegatati come me, davanti a questa bella notizia. 

Mi rifletto nei loro occhi che si illuminano, la dignità che “un minuto prima era lì e poi è sparita, come per magia!

Timidamente abbiamo iniziato a coinvolgere qualche commerciante, per lo più babbani, se devo essere onesta. 

Ma una cosa è assolutamente certa. Qualcosa di te li ha fatti sbarellare. Per questo sei famoso, per questo tutti conoscono il tuo nome: tu sei il bambino che è sopravvissuto.”

È successo che la magia è diventata tangibile prima ancora di palesarsi.

Orde di bambine e bambini si sono iscritte ai laboratori che abbiamo pensato per loro.

Ragazzi e ragazze dei gruppi di lettura di ArgoCircolo Letterario sono stati al gioco, lavorando sul tempo per diffondere la notizia, pensando al travestimento migliore.

C’è chi, singolarmente, ha creato in silenzio e con amore soltanto per donare qualcosa. 

Seconda Stella Eventi si è unita alla nostra “battaglia” come Aberforth si unisce a quella di Hogwarts, sulle battute finali, potenziando di gran lunga il successo che speravamo di ottenere.

Iglesias si è letteralmente mossa all’unisono come se avesse udito la Professoressa McGranitt dire: “Piertotum Locomotor!”

Ho sempre desiderato usare questo incantesimo.”

Negozianti, bar, farmacie, hotel, gelaterie, ristoranti, pasticcerie hanno lavorato come i musicisti del Circolo Verdi di Iglesias… ognuno con il proprio strumento ma in sincrono per essere partecipi in questo mondo che lega, unisce, gioisce. 

Il risultato è stato girare per le vie del centro come fossimo catapultati nel luogo che da sempre, più o meno segretamente, desideriamo abitare.

Hogwarts!

Con lo stemma e le sue case. 

La Sala Grande, la classe di Pozioni, il binario 9 3/4 con il carrello pieno di valigie, gabbie, bauli, pronto a scomparire.

Diagon Alley con il Paiolo Magico, il Ghirigoro, il negozio di Accessori per il Quidditch, Magie Sinister; Hoghsmeade con Mielandia e I tre manici di scopa.

Spingersi fino a Via Nuova e vedere ragazzi in divisa Serpeverde affrettarsi verso Piazza Pichi, bambini Grifondoro con i nasi attaccati alle vetrine agghindate per l’occasione… “Guardate che roba, la nuova Nimbus 2000”. 

Cagnetti con il mantello e una capra… sì, una capra con cappello a punta, Merdules, che ha vinto il contest “Animali Fantastici”… stregando tutti!

Grazie a Massimo Battista, ospite d’onore in questa giornata a tema, esperto di prime edizioni rare, collaboratore con una libreria indipendente di Trieste, ricercatore e autore del libro “Collezionare Harry Potter e altri libri di J.K. Rowling”, ho riscoperto la Rowling che ha voluto smettere per un attimo di essere la J.K. Rowling di Harry Potter ed è diventata Robert Galbraith, mettendo su un’altra serie di romanzi, gialli questa volta, con protagonista Cormoran Strike. Mi affezionerò anche a lui, lo so.

La cosa più bella però sono stati i Grazie, quelli spontanei, venuti da sé.

I genitori che ringraziano per la gentilezza e l’attenzione, i bambini che ci ripagano con i loro sorrisi, senza parlare.

Adulti che a bassa voce confessano: “comincerò anche io, a leggere Harry Potter.”

Ragazzi e ragazze immersi nella magica atmosfera che ci fermano soltanto per dire: “è stato emozionante passeggiare per le vie, vedere tutto questo, con in sottofondo le musiche che ben conosciamo. Ci è venuta una bolla allo stomaco.”

Come non associarmi a tutto ciò. Essere insieme mittente e destinataria di questa magia, che è soltanto all’inizio, mi fa dimenticare tutte le cose babbane che mi circondano.

Ma avendo letto e riletto e riletto i libri della  saga che insieme a me ha unito milioni di persone alla lettura, non posso che aver imparato dal Professor Silente, come Harry, che “Non serve a niente rifugiarsi nei sogni e dimenticarsi di vivere.

© Erika Carta

ATTENZIONE

ATTENZIONE


Oggi, 26 aprile, si è conclusa la IX Edizione della Fiera del Libro di Iglesias.

No, non ho sbagliato.

Lo so bene che le date canoniche vanno dal 22 al 25, che i giorni sono quattro.

Ma è nelle ore della mattina successiva che finisce veramente ogni edizione.

Devastati di stanchezza ci trasciniamo ancora una volta lì, in Piazza Pichi, dove pulsa questo cuore che irradia la sua linfa in vari altrove vicini e lontani, oltremare. 

Rimane qualche sedia da sistemare, casette da svuotare, scatoloni e macchine da riempire. 

Viaggi carichi alla Sede di Argonautilus che tutto conserva e presto restituisce.

E per fortuna c’è sempre qualche ospite che ancora non è partito. 

Io li guardo, mi fermo e vedo i miei colleghi Argo… i miei amici, che si muovono da una parte all’altra con l’adrenalina da smaltire.

Ed è lì che mi rendo conto.

Mi rendo conto che anche questa Fiera è esistita davvero, che ce l’abbiamo fatta una volta ancora seppure in qualche momento abbiamo temuto di no.

Come ha scritto la nostra Stefania, della Mondadori di Iglesias… siamo Argonauti, mica extraterrestri. (Anche se ho l’impressione che ci andiamo molto vicini.)

Questa mattina, per esempio, gli ospiti superstiti erano tre librai da Torino, Barcellona e Trieste e ognuno di loro è anche tanto più di un semplice “venditore” di libri. 

Erano lì, su tre sedie vicine a parlare fitto fitto e io gliela scorgevo quella luce che vedo sempre dentro gli occhi di tutte le persone che vengono da noi alla Fiera e si scambiano numeri di telefono insieme a pensieri e sensazioni. Creano contatti e sono ben intenzionati a mantenerli.

Ci abbracciano quando arrivano, ci dicono “grazie” e “complimenti”, sorridono, brindano a noi e con noi.

Ci abbracciano quando se ne vanno.

E ormai, più d’uno rivolge uno sguardo attento, pronto a chiedere: “Hai bisogno di aiuto?”

Attenzione.

Questo era il tema del 2024, comune a tutti i festival della Rete Pym.

Devo essere onesta: non l’ho compreso nell’immediato quanto poi mi si è dipanato davanti agli occhi e dentro la pelle, durante l’organizzazione e in questi giorni appena trascorsi.

Attenzione: parola che porta con sé molteplici significati, alcuni così semplici da sembrare scontati. Ma non sia mai! È proprio la profondità di questo concetto che abbiamo sviscerato negli svariati incontri che hanno letteralmente riempito dal vivo piazze, bar, teatro e virtualmente radio e social.

Attenzione alla Terra.

Attenzione al Libro e al diritto d’autore.

Attenzione alle scuole.

Attenzione alla Libertà.

Alle parole da usare, ai gesti, alle sensibilità che albergano dentro ognuno di noi.

Attenzione: parola che porta con sé anche il suo contrario: Disattenzione.

Perché sì, esiste anche quella. Eccome se esiste.

Ma, come ho appreso poc’anzi dalle parole di un caro amico… “In un mondo di moralisti della domenica che parlano e parlano e parlano ma non fanno mai un cazzo di vero[…]non cercare mai compassione e vittimismo è l’unico modo di zittirli. In un mondo di pagliacci che si esibiscono senza nemmeno chiederti i soldi del biglietto, è solo respirando la strada che si può arrivare alla persona, ovvero allo scheletro, all’uomo in purezza.

Lo scheletro, esatto, le ossa: ecco cosa mi interessa. Chi fa la morale, chi non è capace di autocritica, chi non è meritorio di altra risposta se non un assordante silenzio, semplicemente, può andarsene a fare in culo lontano dalle mie parole, che sono la cosa più importante che ho essendo l’unica cosa.

Ed ecco perché non userò le mie parole per la disattenzione. 

Non mi interessa.

Può volare via come “la foglia”.

Perché oggi sono sì malinconica (ancora non come lo sarò nei giorni a venire) ma soprattutto sono colma di amore dato e ricevuto, sono fiera, grata e felice. 

Sempre.

Ed è per raccogliere le mie emozioni e dire questo, solo questo, che scrivo. 

La mia gioia, ho scoperto in un tavolo in mezzo al verde sotto un cielo clemente, profuma di mandarino. 

Il tempo della Fiera del Libro di Iglesias è sempre un po’ strano, sembra muoversi infinitamente piano e smaterializzarsi dal momento in cui si dice: “Benvenuti alla prima Colazione d’autore” a “Grazie al Circolo Musicale Verdi per l’evento conclusivo.”

Ogni volta che finisce è come un po’ “morire”, ma noi Argonauti non sappiamo fare niente di meglio che rinascere dalle nostre ceneri… come la Fenice.

Dimentico qualcosa? 

Ah sì, giusto la giornata “Iglesias come Hogwarts.”

Mi dispiace ma se proseguissi qui, poi dovrei cercare un editore per pubblicare questo che diventerebbe un romanzo.

Per cui sappiate che devo ancora metabolizzare a lungo, prima di scriverne.

“Tu sei un mago Harry.”

“Io sono… cosa?”

“Un mago! Un mago coi fiocchi direi, una volta studiato un pochetto.”

“Non posso essere un mago, voglio dire… sono solo Harry… solo Harry!”

© Erika Carta

Paolo Nori a Portoscuso

Paolo Nori a Portoscuso

Stavolta mi ci è voluto davvero un tempo insolito per pensare di esprimere la bellezza che ho interiorizzato.

Il 28 giugno, Paolo Nori è stato ospite di Argonautilus per il primo appuntamento di Fiera del libro di Iglesias 2023 Mappe, Il Festival.

Protagonista, il monologo “Noi e Anna Achmàtova” in riferimento al romanzo, “Vi avverto che vivo per l’ultima volta.”

In una notte tiepida dal profumo d’estate appena annunciato, Paolo Nori ci ha come ipnotizzati. Ascoltarlo è stata una fortuna e un onore, una di quelle occasioni che qui, in Sardegna… quando ti ricapita?

Il comune di Portoscuso ci ha accolti all’Antica Tonnara di Su Pranu, un luogo che sprigiona energia e che sembra raccogliere sempre e soltanto cose magiche. 

Nori ha introdotto il suo discorso così: io sono narcisista.

E mi ha conquistata dalle prime battute.

Perché, parliamoci chiaro, ammettere il narcisismo, pronunciarlo, è il primo passo attivo e necessario per dargli un confine, arginarlo affinché non si espanda, non diventi infestante.

E per comprendere le cose da altre prospettive.

Scavalcato questo muro, il resto è stato un racconto all’insegna dell’amore. Della passione pura e sfrontata per un paese e per la sua letteratura.

Da Gogol, a Dostoevskij, passando per la prospettiva Nevskij, per le notti bianche di una San Pietroburgo presente e passata, sempre viva dentro pagine e pagine di libri immortali.

Paolo Nori ci ha raccontato la vita di una scrittrice, una donna coraggiosa.

Anna, nata Gorenko il 23 giugno del 1889, davanti al narcisismo incurabile del padre che l’ha messa davanti a una scelta: scegli me o la poesia, ha cambiato cognome, prendendo quello di una sua antenata e diventando così la nostra Anna Achmàtova, una delle poetesse russe più importanti del secolo.

“Lascio la casa bianca e il muto giardino.
Deserta e luminosa mi sarà la vita”

Non si può eludere il contesto storico, sociale e politico ma la letteratura è altro, è oltre.

Scardina le imposizioni, aggira la disapprovazione, dà nome a tutte le cose. 

La letteratura quando è raccontata così, desta l’attenzione, il senso critico, la bellezza.

Nemmeno una zanzara sembrava volare nella sera incantevole del 28 giugno all’Antica Tonnara di Su Pranu a Portoscuso, quando Paolo Nori ha perpetuato l’incantesimo affermando che “la letteratura è più forte di ogni censura e di ogni dittatura.”

©Erika Carta

Effetto Fiera

Effetto Fiera


Aprile volge al termine e fuori, all’ora del crepuscolo, c’è un odore buonissimo, di stelle e cielo blu. Sa di terra che si risveglia; la macchia mediterranea esplode, profumando l’aria. 

È come se tutto raccogliesse l’energia preparando le scorte per quando ne servirà di più. In un ciclo eterno che prende, accumula e restituisce. 

Ed è quello che è successo anche a noi. A noi di Argonautilus, nei giorni appena trascorsi.

La Fiera del libro di Iglesias è sempre inizio e fine insieme. È lo spazio dove il tempo si concentra e si dilata e proprio quando, a ragione, dovremmo essere allo stremo delle forze, inspiegabilmente rinvigoriamo.

Una cosa bella, così bella, si porta dentro la nostalgia del passato quando ancora è presente. È tangibile.

Ma è vero anche che il futuro immediatamente prossimo sarà scandito da quella stessa scia di vita.

Immagini la piazza ancora piena e mentre passeggi realmente tra le vie, una mattina qualunque, ti sembra di incontrare un ospite che si ferma per fare colazione.

Effetto ottico. O effetto fiera?

Un sorriso scoppia vivido senza preavviso come dentro una fotografia, un abbraccio in bianco e nero. 

Aspetti che qualcuno ti chieda: -com’è andata?- così hai modo di raccontarlo. E vorresti parlarne all’infinito, senza smettere mai, per vedere la magia che si muove ancora e ancora davanti agli occhi, nel suono delle parole.

Poi arriva un momento in cui le voci cominciano ad affievolire e tutto assume i contorni sbiaditi di una cartolina, ancora da spedire.

Non c’è modo di rivivere nel quotidiano quello che è appena stato. È passato. Ed è giusto così.

Questa consapevolezza fa sì che il suo valore e la bellezza si conservino intatti. 

La Fiera del libro di Iglesias è come un domino al contrario. Una tessera si è sollevata otto anni fa, e ne ha spinto un’altra e un’altra ancora, una dopo l’altra… non senza fatica.

E questa edizione, mi è parsa più che mai ancorata al presente, come solo il presente sa fare: con addosso quello che è successo prima e in germe quello che verrà dopo. 

Un grande, unico discorso che abbraccia chi siamo e ciò a cui siamo destinati.

Il viaggio percorso e quello che resta da tracciare, nelle nostre mappe. 

© Erika Carta

La mappa dell’Argonauta

La mappa dell’Argonauta

Cos’è una mappa?

La prima cosa che mi viene in mente, per associazione di pensiero è il tesoro.

Considerando che MAPPE è il tema di questa nuova edizione della Fiera del libro di Argonautilus, non ci discostiamo tanto.

Uno scrigno aperto otto anni fa che, illuminato con costanza, continua a spandere i suoi bagliori tutt’intorno.

MAPPE: tema che nasce dalle idee che hanno circolato per le trame della Rete Pym.

Fiera del libro di Iglesias, Elba Book Festival, Festival Giallo Garda, Officine Worth.

Rete come culla e insieme trampolino.

Immagino un filo arcobaleno che unisce la Sardegna all’isola d’Elba, a Garda ma anche alla Sicilia, a Roma e Barcellona, alla Toscana. E ancora, a Milano, Torino, all’Africa.

Che lascia il segno dentro ogni ospite, maestra, bambino, albergatore, libraia, bibliotecario, negoziante, lettrice, danzatore.

Dentro ogni persona che guarda, ascolta, partecipa, condivide. E così, lo trasporta di nuovo fuori, questo filo arcobaleno.

Se penso mappa, penso viaggio.

E io che son solita raccogliere le emozioni alla fine, quando ogni anno la Fiera volge al termine… e a renderle parole immediatamente dopo, questa volta sono stata, appunto, illuminata da un’altra idea.

Chi ci segue sta scoprendo giorno per giorno nuove mete di interesse da contrassegnare: ospiti, luoghi, eventi, laboratori, libri. 

Ma c’è una mappa nascosta nelle retrovie, fatta di persone, ansie e rituali. 

Una mappa a chilometro zero, costruita con il tempo e che  negli anni ha reso omaggio alla padrona della festa, la Terra. 

Che si è posta domande sulla verità e ha provato a rispondere con tutte le possibili parole che creano mondi.

Che quando ha sentito profumo di felicità, ci ha fatto caso, meravigliandosi per questo e per tutto il bello che è venuto e verrà.

In esclusiva, da oggi potrete consultarla per comprendere un poco cosa si muove nell’ombra.

Tutto ciò che dovrete fare per far sì che si riveli, è dire: 

“Giuro solennemente di non avere buone intenzioni.”

LA MAPPA DELL’ARGONAUTA.

Vi basti sapere che: 

*Quando uno comincia a perdere la voce e l’altra soffre il mal di schiena, ma nonostante tutto questo ridono, la Fiera è dietro l’angolo.

*Quando cominciano a evocare lo spirito guida che risponde sicura, la Fiera è dietro l’angolo.

*Quando i confini geografici si annullano anche prima che scompaiano davvero, e salpano tutti sulla stessa nave Argo, la Fiera è dietro l’angolo. 

*Quando uno prepara gli obiettivi, non quelli da raggiungere ma quelli con cui raggiungere e immortalare ogni cosa, la Fiera è dietro l’angolo.

*Quando una aggiunge ore alla giornata da mamma e prof, la Fiera è dietro l’angolo.

*Quando si iniziano a lucidare le magliette da supereroi, ad azionare i superpoteri, a parlare di sedie e scherzi, a risolvere più problemi di quanti se ne possano creare, gli ARGOVENGER sono dietro l’angolo.

Pronti ad accogliervi, guidarvi e camminare al vostro fianco, dal 22 al 25 Aprile, a Iglesias.

Allora, svoltiamo tutti dietro quest’angolo, che la Fiera del libro VIII Edizione ci aspetta, per scrivere, disegnare, danzare e sognare insieme nuove MAPPE.

© Erika Carta

Notturno francese

Notturno francese

Con la mente scevra da qualunque  informazione preliminare mi accingo a leggere l’ultimo romanzo dell’autore Fabio Stassi, che dal 22 al 25 Aprile sarà nostro ospite alla Fiera del libro di Argonautilus, a Iglesias.

Notturno francese, edito da Sellerio, che fa delle sue pagine un profumo buonissimo, come di libreria antica, di saggezza.

Non saprei dirti se era stato per la luce che aveva Roma, quel giorno, o per l’abitudine di andarmene in giro da solo, senza una direzione precisa e niente da sbrigare, o per via di tutta la gente che attraversava la stazione all’ora di pranzo e che invitava a perdersi tra la folla e a non essere trovati.

Ok. Sta parlando con me. Proprio con me, direttamente con me.

Fabio Stassi, o meglio… Vince Corso, il suo protagonista, sta cominciando a raccontarmi una storia. 

Mi metto comoda, nel senso più ampio di disposizione d’animo.

“Roma” “luce” “perdersi tra la folla e non essere trovati.”

E io, sono già, completamente assorta.

Sono bastate davvero pochissime righe. Sei, per l’esattezza.

Biblioterapeuta di professione, Vince Corso sale sul treno che da Roma dovrebbe portarlo a Napoli, da Feng, la sua compagna, per un weekend romantico fuori porta.

Ma il destino, gioca beffardo. E quando succede, lo fa per bene, con un intreccio di elementi che se legati ai libri, assumono un’aura magica senza eguali. 

La storia di Xavier a Bombay, tra le pagine del “Notturno indiano” di Antonio Tabucchi, che Vince ha scelto di portare con sé; Saverio, compagno di viaggio misterioso e quasi mistico. 

Un treno sbagliato, che invece va a Milano. E da lì a Genova.

Ma davvero, c’è un errore? 

Il resto della storia è l’ultimo filo di voce di una madre, i ricordi d’infanzia, le cartoline spedite senza nome. 

L’idea che in una precisa sera di tanti anni prima, la pioggia fosse il tempo esatto.

La Costa Azzurra e i suoi hotel.

Il mare, vivo e prepotente.

I libri dal dorso blu.

Il resto della storia è il viaggio, inteso come ricerca.

“In questa strana città non ero venuto per cercare, ma solo per essere trovato.”

Se l’intento meraviglioso di Fabio Stassi è essere un po’ biblioterapeuta anche lui, come il  suo Vince Corso, saprà bene che una storia come questa è in grado di far impazzire di fermento milioni di lettori già di loro matti, come me. 

Titoli di libri che scorrono sui treni, tra i binari delle stazioni ferroviarie, si fermano sopra il comodino di una stanza d’hotel, attraversano il tempo.

Incastonati come gioielli.

E saprà anche che un lettore o una lettrice aggiungono sempre qualcosa alla storia che diventa proprio così, condivisa.

Allora mi capirà se gli rivelo che in una pagina precisa mi è parso di cadere tra le righe di “Tenera è la notte” del citato Fitzgerald.

È stato solo un momento ma quella sensazione di intensità non mi ha lasciata più.

Eccolo, un altro libro da amare. Questo Notturno francese.

Il cuore di chi legge è immenso, ha più spazio di una libreria che traballa.

Ci sarà sempre posto per una nuova storia, per le parole che colpiscono e restano.

Come puntine su una mappa, che tracciano i luoghi di un viaggio destinato a divenire in eterno.

©Erika Carta

La meraviglia

La meraviglia

Si dice che bisogna farle sedimentare, le emozioni.

Elaborarle, lasciarle raffreddare. 

Ma perché?

La mia urgenza è tutta contraria: trasferirle immediatamente sul foglio, impresse così come sono ora, vive e vivide. 

Avranno il tempo di depositarsi assieme a tutte le altre, di mutare in forme che al momento mi sono sconosciute.

La Fiera del libro 2022 di Argonautilus si è conclusa da poche ore. 

Il primo giorno sembra sia stato ieri e già lontano un mese. 

Del tipo: “Ti ricordi quando Dario Fabbri, analista geopolitico, è venuto a parlare al Teatro Electra?”

A conclusione delle prime ore di una Fiera che è esplosa in tutta la sua meraviglia annunciata.

Nulla da togliere a un tramonto sul mare, a un bel paesaggio ma, come ci ha insegnato Lino Fioretto, nella Lectio Magistralis su Fedor Dostoevskij, la meraviglia è altro. È qualcosa di molto, molto più profondo che passa per il buio, per il dolore; che prende forma nella penombra e nel silenzio.

Uno stato verso cui protendere continuamente, come per la felicità. 

Così sostiene il professor Andrea Maggi che, come Sara aveva previsto, ci ha fatte commuovere raccontando di amore e di rabbia.

Meraviglie, come Sylvia Plath e Gae Aulenti, raccontate da Antonella Grandicelli e Anna Rita Briganti.

O come le donne fatte di muscoli tendini e cuore, che si sono guadagnate la pista alle Olimpiadi per correre a fianco degli uomini e che hanno permesso alla meravigliosa Andrea Marcolongo, di tornare alla nostra Fiera per raccontarci anche la sua, di corsa incontro alla vita. De arte gymnastica.

Francesco Abate, Wu Ming, Antonio Manzini e Stefano Mancuso… meraviglie della natura.

Flavia’s end… intramontabile e che speriamo possa presto vivere di nuova vita attraverso gli occhi e il lavoro del regista americano Anthony La Molinara.

Saremo tutti alla prima fila con la maglietta Argonautilus a sostenere la nostra Claudia Aloisi.

I festival gemelli e gli amici dei festival, base dei nodi di questa rete, sempre più robusta.

Aldo Dalla Vecchia, Letizia Vicidomini, Marco Belli. Rete Pym.

Ospiti come Matteo Giusti,  che ti viene naturale salutare come se, trascorso un anno, rivedessi un vecchio amico.

La poesia che ci ha incantati tutti nei pressi di un vicolo, facendo volare il pensiero in alto, più in alto di questa terra.

È poi arrivato un momento che ha ridestato in me ricordi ancora caldi, appena conservati in un posto speciale nel cuore.

La Sicilia.

E questo ponte immenso con la Sardegna che si rinsalda ogni volta che è possibile ma anche da lontano. Giorno per giorno.

Il collettivo Sicilia Niura che narra in modi infiniti i volti infiniti di una terra sorella. 

Il mio amico Rosario Russo che ci tiene da morire e non esita a dimostrarlo. Che racconta di sé, dei suoi personaggi e luoghi ma anche dei suoi legami, rendendo tutto più vicino e meravigliosamente umano. E a cui vorrei dire che non ho mai letto così tanti gialli uno appresso all’altro, in vita mia, come da quando converso con lui di letteratura. E gli sono grata per i consigli di lettura, preziose scoperte.

Gaudenzio Schillaci che siccome, “la felicità si racconta sempre male”, ci pensa lui a sviscerarla con parole affilate. Le stesse che certe volte si ha necessità di attraversare a fondo, per comprendere la meraviglia. 

Alfio Grasso che mi ha fatto letteralmente piangere dalle risate e che, con la sua casa editrice Algra porta avanti un grande progetto trovando il suo meraviglioso posto fermo in mezzo all’immensità di questo mare.

Alosha Giuseppe Marino. Il primo danzastorie che abbia mai conosciuto. L’unico. 

Alosha che racconta senza parlare, che comunica, diverte, commuove. 

Professionalità e bontà d’animo, espressività e movimento.

Alosha che mi ha fatto regalo immenso, danzando in uno dei miei posti del cuore. Ancora sono incredula che sia accaduto veramente ma è proprio questo, l’effetto che fa: realtà sospesa, magia. Meraviglia.

Con attorno queste persone e con Antonio Pagliuso, autore, e Mattia della casa editrice Wom, mi sono trovata seduta in una sedia al centro del palco, al parco S’Olivariu, luogo che continua a regalarmi emozioni.

Ho moderato la tavola rotonda “Ponti di libri”. Un sogno, fatto di giorni d’ansia prima e grande soddisfazione, dopo. 

Una domenica importante che mi ha vista impegnata in prima persona anche con ArgoCircolo Letterario e tutti i gruppi di lettura dei diversi comuni. Persone presenti, davvero. Presto inizieremo la nuova avventura di quest’anno che ci vedrà partecipare una volta al mese ai nostri amati incontri e confronti di lettura.

Meraviglia è il pubblico che ci ringrazia per aver avuto la possibilità di partecipare a questi eventi carichi di bellezza. Ed è anche l’ospite che ci dice grazie, a sua volta. E che vuole tornare.

Sono sempre più orgogliosa o meglio, Fiera, di essere parte integrante e integrata di questa squadra Argonauta, che è la mia vera vera meraviglia. 

Che mi ha fatta nascere di nuovo e mi fa crescere sempre, come piace a me… dentro il mondo che mi appartiene.

I miei compagni di viaggio sono quanto di meglio potessi immaginare mentre camminiamo spediti con una sedia in mano, un mazzo di chiavi da consegnare, un ospite da far entrare in questo gruppo così meravigliosamente squilibrato e compatto. 

Perché mentre tutto accade, ci guardiamo, sorridiamo, ci abbracciamo, tendiamo due mani (che se potessimo ne tenderemmo anche tre o quattro). Ci fermiamo e ridiamo. 

Li ho lasciati per ultimi ma non smetterò mai di ribadire che senza Eleonora e Maurizio, tutto questo non esisterebbe. 

Siamo i primi a credere che la meraviglia non solo sia possibile… ma che sia l’unica cosa che ci salverà. 

Erika Carta

Confessioni di un omosessuale a Émile Zola

Confessioni di un omosessuale a Émile Zola

“Vivo una vita fittizia e mostruosa, ma la mia esistenza non è quella di un privilegiato? Sono a tratti perfettamente felice e tranquillo, ma in altri momenti non lo sono affatto e vorrei qualcosa di nuovo e non so dove trovarlo. Ah! Perché la natura non ha dato all’uomo almeno dieci sensi? Cinque sono troppo pochi, a cosa possono servire? Dio! Quanto mi annoio.”

Non ci riconosciamo un po’ tutti in questa frase?

Io sì. 

Eterosessuale, donna di trentasei anni negli anni ‘20 del 2000. 

Eppure a scrivere questa frase è un ragazzo, omosessuale nel 1889.

Ma voglio smettere subito di parlare per “etichette”.

D’altronde colui che ha scritto le parole qui sopra non ha neppure nome. 

Lui è Anonimo e le sue sono le “Confessioni di un omosessuale a Émile Zola”.

Essendo io, sempre più a contatto con il mondo dei libri, dell’editoria, degli autori e dei festival letterari come la mia amata Fiera del libro di Argonautilus, sento spesso parlare di narrazione, di tecniche di narrazione. Di trame, schemi, regole per confezionare un romanzo che sia bello, ma anche appetibile come prodotto commerciale, giustamente.

La giovanissima casa editrice Wom, partner della Fiera, fa però qualcosa in più, a parer mio.

Lascia di stucco.

Questa, di Anonimo, è una lettera a cuor scoperto, pubblicata integralmente per la prima volta in italiano.

Scritta divinamente, si fa leggere in modo travolgente dall’inizio alla fine. Non c’è mistero, non c’è suspense, non una scaletta che abbia inizio, svolgimento e via discorrendo. 

Ad attrarre in modo così spudorato è la sincerità disarmante dell’autore. Una richiesta d’aiuto, la necessita irrefrenabile di mettere nero su bianco la natura dell’essere, la voglia di capire e insieme di spiegare.

Il soggetto, passatemi il termine, è un giovane italiano benestante, appassionato alla bellezza. 

“Mi piace tutto ciò che è bello, e quasi nulla, in ogni genere, è abbastanza bello ai miei occhi, tanto amo quel che è eccezionale, ricco ed elegante. Ho fabbricato con l’immaginazione palazzi più bello di tutti quelli che esistono, stracolmi di opere d’arte scelte tra tutti i capolavori del mondo intero. […] Ai miei occhi la bellezza rappresenta tutto, e tutti i vizi, tutti i crimini mi sembrano da lei giustificati.”

Egli scrive a Émile Zola offrendo se stesso e la sua esperienza personale come figura da aggiungere a “quella galleria di tipi che sono i Rougon-Macquart: un protagonista omosessuale”.

Ma la sua sincerità diviene un’arma a doppio taglio. È troppo, perfino per lo scrittore francese, che affida “Le Confessioni” al medico Geroge Saint-Paul, alias Dottor Laupts.

Così, questa lettera spassionata viene sì pubblicata ma come “caso di perversione sessuale”. 

Quello che arriva a noi oggi però è un libro di 148 pagine che “sono al contempo un romanzo, una testimonianza e un documento unici sul coraggio di un uomo che denuda la propria anima di fronte a una società che non riconosce le singolarità che la costituiscono. Una rivendicazione alla sovranità dei corpi, al dovere di goderne, alla tutela di ogni differenza – un messaggio ancora oggi di profonda attualità”.

Non saprei dirlo meglio.

(P.s.) Personalmente ho adorato l’irriverenza di Anonimo quando parla del suo ego.

“Mi sembra sempre di aver finito e trovo ogni volta qualcosa da raccontarle. Del resto mi piace talmente parlare della mia personcina che non smetterei di evocare la mia immagine guardandomi qui come in uno specchio. Non penso ci si possa mai stancare di parlare di se stessi e di studiarsi nei minimi dettagli, soprattutto se l’essere che la natura ha forgiato è tanto eccezionale quanto lo sono io. Penso davvero che dopo tutto ciò che le ho scritto dedurrà il resto del mio carattere, delle mie idee e anche delle persone che mi circondano, ma siccome questo mi diverte enormemente, vado avanti ancora per un poco, più per me che per lei”.

(P.p.s.) E non posso che sentirmi empaticamente risoluta insieme a lui quando infine dice: 

“Ah Signore! Sentirsi diverso rispetto a tutti gli altri è talvolta una soddisfazione. Oramai so ciò che sono e ciò che voglio. Tale sono nato, vivrò e tale morrò.”

©Erika Carta

La Parola crea Mondi

di Erika Carta

5 ottobre 2020: siamo di nuovo in cerchio, distanti e mascherati a parlare di Fiera del Libro di Iglesias.
Quella incredibilmente trascorsa e quella che verrà.
La sede di Argonautilus, che si affaccia sul chiostro di San Francesco, accoglie e raccoglie le nostre fatiche, le autocritiche e i pensieri: semenza da spargere in questo terreno rinnovato, fruttuoso sotto tanto punti di vista, fertile.
“Ce l’abbiamo fatta”.
È da cinque anni che, arrivati più o meno indenni al quinto giorno, ce lo diciamo. Perché fa bene.
Fa bene come guardare i miei compagni di viaggio negli occhi, ora più che mai in risalto sui volti, e vederci uno specchio di sentimenti affini: le stesse domande, perplessità e preoccupazioni. E l’immancabile luce della voglia di fare, ancora. Sopra ogni altra cosa.
Continuare a Esserci.

30 Settembre 2020, due giorni di PreFiera appena conclusi.
“Ragazzi, domani alle 8:30 in Piazza Pichi”.
Musica per le orecchie. So già che non dormirò abbastanza da arrivare fresca e riposata. Ma chi se ne importa.
È 1 Ottobre ed è come se fosse 22 Aprile.
Piazza Pichi comincia a svegliarsi in questa mattina dal tempo incerto, sotto un tiepido sole. Si anima degli anni passati, di ricordi affollati.
Viva, nonostante.
Prendiamo posto tra i tavoli dell’Electra Cafè Letterario, cauti, per la prima Colazione d’Autore (un nome che non smetterà mai di affascinarmi).
Inizia la Fiera del Libro di Iglesias 2020.
Contingentata, è vero. Ma la cultura ha lo straordinario potere di resistere, plasmarsi alle necessità e reinventarsi, pur di andare avanti e coinvolgere.
“La Parola Crea Mondi”.
Suggestivo per chi di parole, ne fa schermo e tesoro.
Spunto di discussioni incrociate, ricerca di significati; un tema che, come ogni anno, viene smembrato, riassemblato, posto con attenzione sotto una lente di ingrandimento, sviscerato in ogni sua possibile prospettiva di riflessione.
Una Fiera di spessore, comunque ricca di eventi, che avanza di livello, cresce.
Tra le novità di quest’anno, gli appuntamenti in Radio Arcobaleno per Radio Fiera e le
Dirette Web, che diffondere e rendere quanto più fruibile… non fa mai male.
Le quattro Masterclass di formazione gratuite, una per ogni giornata, che hanno esplorato il tema da diverse angolazioni: lettura e scrittura; scienza e informatica; parole dal Medioevo legate alla città, al Breve di Villa di Chiesa; giornalismo di inchiesta, associato al Premio Morrione.
E che per un momento mi hanno fatto pensare: “Voglio esserci! Mimetizzarmi tra i partecipanti, smettere gli abiti da argonauta e godere di ciò che creiamo!”
Ma no. Ormai è la mia seconda pelle.
Stare dietro le quinte di tutto questo è uno dei più bei regali che mi sia presa dalla vita.

Parole condivise tra Sindaci e Assessori alla Cultura dei Comuni partner per un tempo delicato come quello con cui ci troviamo a convivere.
Mostre che illustrano la bellezza del mondo del Graphic Novel; la Casa degli Autori in Fiera; i Librai Fantastici; Alta Voce; il progetto delle Biblioteche Possibili; Tavoli Tecnici sull’editoria, sul “fare rete”: area di interesse per diversi soggetti del settore; doni inaspettati da chi come noi ci crede e si sente parte integrante.
Festival gemelli sempre attivi con impegno e sinergia; ospiti importanti che hanno diligentemente riempito la Piazza del Municipio e il Teatro Electra, sotto il meticoloso sguardo e il prezioso lavoro di un super Staff.
Piccolo grande spazio, sul palco del Teatro Electra per parlare dell’Argo Circolo Letterario e dei suoi gruppi di lettura, In Libro Veritas e Fantadìa.
Che quando dico “regalo”, non sono mai stata così seria. E se parlo di riconoscenza, intendo a tutto tondo. Verso la mia compagna di avventure Sara, verso Argonautilus.
Grazie. Ai bambini e ai lettori senza i quali tutto questo non avrebbe senso di esistere, ai libri, alle parole.
A me stessa.
Impossibile, alla fine di tutto, non provare soddisfazione per un lavoro ben svolto, non senza fatica.
Ma è riduttivo. La verità è che io provo gioia pura. La Fiera del Libro di Iglesias è da sempre la mia fonte di ricarica energetica, Argonautilus la nave sulla quale son salpata e da cui non ho intenzione di scendere.
Per mare, per cielo e terra, tante volte in ginocchio o sorvolando gli ostacoli: l’importante è andare.

“Se viaggia, Enea lo fa per arrivare a fermarsi. E per, finalmente, costruire. Anzi per ricostruire.
[…] è la serietà a guidare la mano nel suo lento ricostruire”.

La lezione di Enea, Andrea Marcolongo

fieralibroiglesias