Andrà tutto bene

Andrà tutto bene

Se io avessi le parole, le potessi immaginare.

Fosse facile spiegare, si riuscissero a suonare.

Se potessi raccontare, se sapessi come fare, se sapessi cosa dire allora ti scriverei…

Una canzone d’amore. 

Ecco, perché è questo. Tutto ciò che dirò e che mi viene da quello che ho visto, sentito e vissuto è riconducibile a questo: una immensa canzone d’amore.

Gli 883 sono questo, una canzone d’amore cominciata decenni addietro, destinata a non finire mai.

Naturalmente ho guardato la miniserie tv che con tutta probabilità gridava al successo ancora prima di arrivare sugli schermi.

Merito della storia leggendaria di due ragazzi, Massimo Pezzali e Mauro Repetto, quelli veri, che per varie circostanze volute dal destino, si incontrano in una quinta liceo alla periferia di Pavia.

Due ragazzi che si sono appunto trovati per caso, riconosciuti a specchio a un livello inconscio di complementarietà, che seppure in misura differente si sono spronati l’un l’altro a buttarsi, rischiare, sbagliare, a seguire i sogni, a sacrificarne altri, a non mollare, a vivere e fare la storia, un pezzo di storia della musica italiana. 

Perché l’hanno fatta e non sento repliche.

Merito di ideatori, sceneggiatori, registi e attori giovani e bravissimi che hanno reso in arte del racconto questa storia. 

Con tutti i dettagli visivi, sonori ed emozionali annessi. 

I motorini, la sala giochi, i bar, le macchine dai colori discutibili. Il telefono di casa, la SIP, gli adesivi nelle ante dell’armadio, le cassette di Marco Masini, il Cantagiro e Alessandro Canino. Radio Dj, Claudio Cecchetto, Fiorello, l’Acquafan di Riccione, i telegatti, Lorenzo Jovanotti.

Di piangere me lo sarei aspettata, conoscendomi e conoscendo il tema (magari non per tutte le otto puntate, ma comunque… sì). Di ridere, forse non così tanto. Nemmeno di provare tutte quelle emozioni e reazioni a catena da portarmi ancora una volta qui, (qui seduta in una stanza) dentro una nostalgia così atavica che non importa più se faccia bene o male, rimane sempre e solo da vivere. In tutta la sua intensità.

Mia sorella scrive: “Gli 883 sono i viaggi in macchina, alle elementari, cantando a squarciagola con mia sorella. Lato A e Lato B a memoria. Cantiamo? Sì.”

Potrei finirla così, perché lei ha una squisita arte del riassunto. Ma di contro, io devo aggiungere, sempre. 

Gli 883 che fanno cantare “Hanno ucciso l’uomo ragno” a un bambino che ha tre anni adesso, oggi, sono il legame forte che ha unito due generazioni in particolare: la nostra e quella dei nostri genitori. 

Ecco perché è così intenso ogni ricordo che ha come sottofondo le note de Gli anniLa dura legge del gol e Come mai.

Gli 883 sono quel movimento che ti spinge a uscire nel 2024 in una notte d’estate per sentire quelle canzoni riprodotte da una cover band e cantare, cantarle tutte.

Gli 883 sono i pomeriggi d’estate riunite “al fresco” in cameretta di un’amica prima di poter uscire fuori a giocare per via della “mamma del sole”, a registrarci senza nemmeno la musica sotto, REC: “Tutti mi dicevano vedrai…” e scoppiare a ridere perché è venuto fuori un tono estremamente basso, quasi rauco, cercando di imitare quello di Max.

Gli 883 sono quella stessa estate in cui il quartiere era come una grande casa con tutte le finestre aperte e potevi sentire la stessa musica dalla stanza di un’altra persona e allora prendere coraggio e bussare alla porta del vicino per chiedere in coro: “Ciao ce la presti la cassetta degli 883?”

Gli 883 sono il mio primo, indimenticabile concerto.

Gli 883 sono stati il rimedio per le cose troppo grandi della vita, per quando la morte risultava un concetto ancora incomprensibile ma non per questo meno tangibile.

Gli 883 sono quella musica che ascoltavi apposta per piangere tutte le lacrime per un grande amore perduto… (grande: sedici anni, perduto: e chi l’ha mai avuto?!)

Gli 883 sono le parole cantate a bassa voce  prima di dormire, con le strofe sbagliate, saltate, invertite.

Gli 883 sono il Festivalbar e Nord Sud Ovest Est, sono quelle serate al karaoke quando dici “Dai metti una canzone che sappiamo tutti” e parte “Stessa storia stesso posto stesso bar”; sono quelle note di introduzione che senza volerlo accendono immediatamente gli occhi e tutto quello che c’è conservato dentro.

Gli 883 sono ancora un calmante valido quando l’ansia di questi tempi ti assale e ti insegue in movimento.

Gli 883 sono Max Pezzali e Mauro Repetto.

Gli 883 sono un concetto. E questo concetto racchiude tre cose sulle quali una come me ci ha fondato, credo, tutta la sua ragion d’essere: famiglia, amicizia, amore. 

In qualunque forma esse siano state vissute, cantando gli 883, si azzerava tutto. 

A rimanere, soltanto le parole che son diventate di tutti, cantate con il sorriso e con gli occhi semichiusi mentre la macchina avanza dritta e la strada corre indietro, incontro, intorno.

Ho scritto su Instagram che sentendo le note di Come mai, mi è venuto da tenermi il cuore con le mani. Perché è tutto lì e io lo voglio toccare, proteggere da ogni cosa e conservare per sempre.

E siccome non so proprio quale frase di quale canzone scegliere per concludere, ho deciso che chiuderò così:

Max, ma io questa come la ballo?

Erika carta