Sicilia, ancora.

Sicilia, ancora.


Penso sempre che non riuscirò a dire, quando vivo intensamente qualcosa. 

Invece poi mi viene da scrivere, immediato e scontato come quando respiro.

Tolto il fatto che mentre vivo, parlo e parlo e parlo. (Come giusto qualcuno avrà notato).

Vero, Ciro?

Sono partita di nuovo per la Sicilia a distanza di due anni e sempre grazie a una persona che fa per mille, la cui passione ed entusiasmo trascinano, muovono tutto e tutti. Rosario.

In mezzo alle nostre isole c’è il mare. 

In mezzo a noi ci sono i libri, la voglia di raccontare e di ascoltare storie. Di scambiarcele, portarle qua e lasciarne qualche pezzo là. 

In quel gioiellino che è Acireale, la prima cosa che ho rifatto, naturalmente, è stata l’esperienza trascendentale della granita mandorla e caffè da Cipriani, il bar di fronte alla Basilica di San Sebastiano. Con brioscia, questa volta.

Seduta lì, ho tenuto tra le braccia una vita nuova, Beatrice, che è un dolcetto. Tutta guance, pieghette e occhi mediterranei.

Ho conosciuto due persone meravigliose, Giuseppe e Rita che hanno attraversato chilometri di caldo per passare un po’ di tempo buono insieme a noi. 

Ho varcato con emozione la soglia della Casa del Danzastorie, in Piazza Marconi dove grazie a una forza della natura, l’inarrestabile Alosha, “a chiazza fa scola”. 

Sono tornata nella cucina  in cui due anni fa ho scoperto la parmigiana di melanzane che meriterebbe un posto tra le meraviglie del mondo, più buona di quella di mamma e nonna. Una casa dove le persone che ci vivono, Camillo e Lucia, ti accolgono (e ti cibano) come fossi una nipote, una di famiglia. 

Ho maledetto una cosa che in molti, invece, benedicono, maledicendo me: l’aria condizionata. 

Sarà per questo che poi ho trovato salvezza cercando il vento, quello vero, su due ruote. 

Da Porto Empedocle ad Agrigento, da Agrigento a Racalmuto, chiacchierando in corsa con un’altra persona ritrovata tra pagine nuove, e riabbracciata. Roberto.

A rifarmi gli occhi di una Sicilia con i suoi colori chiari e scuri, a tratti diversa eppure così familiare.

Agrigento: nuova tappa da segnare tra i miei innamoramenti. 

Piena di contraddizioni che, altrimenti, mica mi piacerebbe.

Lunghe vie in cui ho scoperto si fanno le vasche, come da noi. Scale e scale, discese e salite strette che portano a vicoli nascosti, belli e brutti. Ringhiere in alto sul mare.

Una piazza che grazie anche all’impegno di chi ci lavora, come i ragazzi dello Scaro Cafe, raccoglie e restituisce, include.

Piazza Ravanusella, che è un po’ il motivo per cui ci siamo mossi e ritrovati tutti lì: Agrigento Noir, il festival letterario con direzione artistica di Salvo Di Caro, organizzato da Alessandro Accurso Tagano che coi libri, ci vive. 

E dove c’è letteratura, arriviamo anche noi.

Nella serata di Sabato sono stata (finalmente) spettatrice, in ottima compagnia, di un incontro che ha visto dietro i microfoni una squadra coi fiocchi.

Eleonora Carta e Ciro Auriemma insieme al grande Gaetano Savatteri, moderati da Rosario Russo e Tiziana Crisafulli. Un’orchestrazione equilibrata e coinvolgente, arricchita dalle letture di Ignazio Marchese.

Ho detto a Maurizio, amico mio e direttore artistico della Fiera del libro di Iglesias, che per una volta era seduto insieme a me dall’altra parte: “Sembrano un po’ le presentazioni nelle nostre piazze, quelle di qualità ma tra amici!”

E così è stato anche il resto della serata.

La cena in un luogo fatto di meraviglia, a Km 0, tema a noi molto caro, Casa Diodoros con il Tempio della Concordia, illuminato nel buio lontano della notte e nel verde arancio dei fichi d’india, a vegliare su di noi.

Racconti a bassa voce, coversazioni e risate innaffiate da Nero d’Avola, la minestra di tenerumi. 

Sera dalla quale credo sia cominciata, come l’ha definita Rosario, un’escalation di emozioni che ci ha portato a vivere poi una delle giornate più strane mai vissute. Surreale, onirica. 

Non so ancora se sia realmente accaduto ma credetemi sulla parola quando vi dico che un piatto di pasta pomodoro, olio, cipolla e basilico unisce le persone tanto quanto la lettura di un libro.

Entrambe le cose stimolano la conversazione, in cerchio, attorno al tavolo.

Scambio di energia allo stato puro. 

“Vi ho portato un po’ di pane caldo appena sfornato.”

“Questa nelle foto è mia nonna. Le ha scattate Enzo Sellerio”.

Cose così.

Quello che impregna la Sicilia e che noi non possiamo che sentire, forte e chiaro, è il richiamo di un’impronta letteraria dallo spessore incredibile, a due passi da casa.

Pirandello, Camilleri, Sciascia. 

Le vite, incrociate come le nostre.

Camminare nei loro luoghi, nelle strade che portano dentro le case dove hanno dormito, mangiato, pensato, letto, fumato e battuto a macchina le storie con cui a noi si sono presentati.

Un valore aggiunto a rafforzare il contatto unico che si crea tra scrittore e lettore.

Tenuto in vita da chi si impegna nel presente, come Salvatore Picone e Pippo Di Falco.

Racalmuto.

Il paese è umido. Non una di queste case è nata dentro l’occhio di un architetto; murate a gesso, si intridono di nebbia come carta assorbente, fioriscono all’interno di muffe.

Vecchie case con stanze che escono una dall’altra a cannocchiale, con scale storte e ripide. D’inverno ardono nelle stanze bracieri di quell’arida carbonella di gusci di mandorle, il calore risveglia un acre sentore di gatti, muffa e piscio di gatti.”

Leonardo Sciascia, 

Le parrocchie di Regalpetra.

Uno sguardo sfuggevole, nostro malgrado, a Catania, la prima città sicula che vidi due anni fa e ieri, prima di ripartire.

Torno da questa terra, dove ho lasciato un’altra volta un po’ di cuore, alla mia che il cuore ce l’ha tutto, solo ogni volta più ricco.

Felice, malinconica, grata.

Ancora immersa in uno stato di possibilità e impossibilità dell’accadere. 

Com’è la vita, no?

E, lo dirò sempre e per sempre: Grazie alla famiglia che è dentro Argonautilus, senza la quale niente di tutto questo sarebbe possibile, mai.

© Erika Carta.