Q.B., il libro di Matteo Colombo, edito Unicopli, dall’essenziale copertina color cielo, è un giallo.
Eh sì.
Ma per quanto ci si sforzi di catalogare un romanzo in monocromie obsolete, si può certo dire che queste pagine emanano una vasta gamma di colori. E profumi, e suoni.
Mi piacciono i thriller che parlano di tutt’altro, dove l’attenzione cola tra i dettagli della vita quotidiana e le sfumature di pensiero.
Q.B. parla di cibo. O meglio, racconta attraverso il cibo.
“Ho iniziato a guardare gli spaghetti al pomodoro come alla quintessenza della nostra arte. In un piatto fondo, fumanti, col sentore mediterraneo che sprigionano, sono un’irresistibile visione”.
Abilissimo gioco, il titolo: Quinto Botero, chef, o come preferirebbe lui, cuoco, proprietario del Beckett. Ristorante con due stelle Michelin dove un giovane apprendista, arrivato da pochi giorni nella brigata di cucina, viene trovato morto assassinato nella cella frigorifera.
Quanto Basta per aprire un’indagine e stuzzicare l’appetito del lettore con tutti gli ingredienti del noir.
Scrittura affascinante, precisa e accurata, che non si perde in fronzoli e va dritta al sodo. Schietta e sagace, in grado di strappare quel sorriso amaro che tante volte esperiamo nella vita.
Ogni personaggio, principale o secondario, è descritto con dovizia di particolari, in poche, efficaci parole.
“È un giovane, aspirante chef che assomiglia a Marcello Mastroianni. È un terrone. È perspicace e colto. È dove il mare luccica e tira forte il vento”.
E nonostante la morte aleggi tra le righe, Q.B. è un romanzo accogliente, come la sala di un ristorante quando si nutre il bisogno di “mangiare fuori” ma allo stesso tempo ci si sente come “a casa”.
“Perché un Cameriere maiuscolo è come un massaggio ayurveduico, rende il cosmo una casa docile e accogliente”.
©Erika