C’è da fare una breve salita per arrivare al Museo del Bisso, perché lì il paese comincia ad aggrapparsi alla collina e a rivelare il suo passato. La fortificazione di epoca sabauda, strategica nella sua vista che domina il golfo di Palmas, sembra poca cosa al cospetto del villaggio ipogeo e della necropoli punici, poco lontani.
Il Museo del Bisso non è altrettanto antico, anche se potrebbe. Aspetta silenzioso all’angolo di uno slargo, senza indicazioni turistiche ad annunciarlo. Discreto, attira solo chi vuole scoprirlo.
La prima volta che sono stata qui, non ero preparata al tipo di esperienza che mi aspettava. Pensavo avrei trovato un artigiano particolarmente abile, con una bella storia da raccontare.
Mi sbagliavo.
I cartelli sulla porta parlano in varie lingue. Si legge: “La fretta non abita qui”. È vero: ci abita il tempo. Perché il tempo, qui, ha deciso di fermarsi. Lo si capisce dal primo momento, quando Chiara ci invita ad entrare.
Chiara è uno spirito forte. Mette soggezione, eppure crea familiarità, tanto da trovarmi sempre in bilico tra il tu e il lei, nel parlarle.
Non spreca parole, Chiara. Non si dilunga in discorsi oziosi. È netta. Asciutta. Tagliente. Spesso severa. Non ostenta la sua grandezza, ma grande lo è davvero, come donna, prima che come Maestro. Una grandezza che sembra appartenere a categorie non comuni, lontane dai nostri schemi di pensiero, o dalla comune percezione. Chiara è altro da tutto. In bilico tra questa realtà e un’altra, più assoluta ed eterna.
Si svela lentamente, mostra di sé solo il necessario, poco per volta, senza lasciare intuire quanto ancora ci sia da scoprire. Che nasconda profondità inesplorate, però, è chiaro fin da subito a chi incontra il suo sguardo.
Il suo sguardo… ecco. L’ho sentito scavare in profondità dentro di me e probabilmente ha capito molto più di quanto avrei saputo dirle, ma non mi sento vulnerabile e nemmeno provo pudore davanti a lei, perché Chiara non giudica. A lei non interessa giudicare. Aiutare sì. Quello sì.
Chiara ha un marito e due figlie, eppure il suo è un sacerdozio. Il sacerdozio dell’acqua, mi viene da dire. Perché è lei a scendere nelle profondità del mare, a prelevare in apnea la seta della Pinna nobilis, e solo in giorni che lei conosce, in luoghi che lei conosce, in completa solitudine. Come le ha insegnato sua nonna.
C’è una tale energia in questa immagine. Primordiale. Ancestrale. In cui di continuo mi pare di trovare qualcosa di perso, o dimenticato. In lei si ritrova il tratto deciso dei custodi del sapere silenzioso, che hanno attraversato il tempo lasciandovi un segno indelebile, mettendo la propria vita a disposizione della storia, facendosi tramite tra generazioni, culture e coscienze, senza domandare niente in cambio.
I gesti di Chiara sono simbolici. L’ho osservata tante volte eliminare con pazienza dal bioccolo di seta tutte le impurità, pezzetti di conchiglie, sabbia, detriti. Poi cardarlo con spazzola dai denti di ferro. Poi con l’abilità delle sue dita, le sue unghie lunghe, comincia a filarlo. Usa un fuso di legno, con una bacchetta lunga. Ogni azione, così naturale per lei, appare parte di un rituale. Arrotola il fuso lungo la gamba, più e più volte. Il filo si sta formando. Poi lo srotola, dall’alto. Il filo è formato. Davanti a sé, sul suo banco da lavoro, ha un vaso di vetro, che contiene un liquido bianco e lattiginoso. Lei ci soffia dentro, e il liquido suona. Emette un fischio che sembra un’eco di mari, spiagge, mondi lontani. Vi immerge il filo, rimescola il liquido con la bacchetta, estrae il filo, che ora è luce. Oro purissimo. È il bisso.
Chiara è un Maestro. Ha contratto il giuramento dell’acqua per conservare per chi verrà quello che già era, senza intaccarlo col danaro.
Sa come colorare i tessuti semplicemente trattando e combinando sostanze naturali. Usa i sali di rame, che possono tornare alla terra e arricchirla, non avvelenarla.
Sa quali piante coltivare, e come. Conosce 1500 modi diversi di fare tessuti. Sa filare, tra le altre cose, l’ortica, l’agave, la ginestra, il bisso delle cozze e delle ostriche. Ma l’unica tela che è orgogliosa di essere, è la tela dell’incontro. E il mondo si incontra al Museo del Bisso, dove ogni giorno, da anni, arriva qualcuno per conoscerla, per capire, per vedere. Per sentirsi parte di qualcosa di più grande.
Ognuno di noi è un granellino di sabbia che compone la spiaggia del mondo, dove un’immaginaria energia può posare il suo piede dice Chiara.
Ma dice anche di non conoscere la diplomazia della via di mezzo. “Il Museo è il racconto di una Musa, non una bancarella per furbastri”. Questo chiede: un luogo costruito attorno a un Maestro. Attorno a lei. Qualcuno vorrebbe sfrattarla. Vorrebbe che il Museo chiudesse. Eppure, nonostante l’incomprensibile ostilità di alcuni, Chiara Vigo non vuole lasciare Sant’Antioco. Per fortuna, penso. Cosa perderemmo se lei andasse via. O se – peggio ancora – decidesse di sciogliere il suo giuramento e di rendere l’anello al fondo del mare.
Ma non vuole farlo. “Non vi preoccupate” dice.
Anche se parte della sua Isola finge di ignorare di avere per concittadina una donna corteggiata dalle Università di tutto il mondo.
Che da paesi lontani, dalle Americhe e dell’Oriente, c’è chi si mette in viaggio per poterla visitare, come i Magi a Betlemme.
Anche se attorno alla sua figura aleggiano leggende non vere, e se gli stessi accademici continuano a ignorare le origini Ebraiche della comunità di Sant’Antioco, che sono anche le origini di Chiara, antichissime, come è antichissimo il sapere di cui Lei è custode fedele.
Chiara resiste, per la forza del giuramento dell’acqua, di cui si sente figlia. Resiste per il mondo e per tutti noi. Il suo Museo è una casa che accoglie tutti. Un luogo dove si impara, da cui è difficile andare via, e comunque non senza la voglia di tornare. Perché la nostra anima sa riconoscere i luoghi a cui appartiene, e a cui tende.
E.C.