Sono venuta a conoscenza di Hayao Miyazaki lo scorso anno, dentro il mio amato ArgoCircolo Letterario, in prossimità della Fiera del libro di Iglesias.
Avevo quasi trentotto anni, che mi sembrano già lontanissimi dai trentanove di ora, e soprattutto mi sembrano sempre troppi.
Troppi anagraficamente e anche troppi, pensavo, per scoprire un mondo che inspiegabilmente, proprio io, non avevo preso mai preso in considerazione.
La miccia che ha acceso questo colpo di fulmine è fatta di tre persone, che sembrano una, o di una che si moltiplica per tre (dev’esserci uno strano sortilegio in atto): Raffaella Fenoglio, Silvia Casini e Francesco Pasqua.
E del loro libro: “La cucina incantata”.
Mi diedi questa risposta, allora: non è mai troppo tardi, c’è sempre tempo per conoscere. Per scoprire, per apprezzare. E meno male.
Qualche giorno fa, complice l’estate Argonautilus con la sua festa del grande blu e la Libreria Mondadori di Iglesias, “La ragazza che amava Miyazaki” è finito tra le mie avide grinfie, direttamente dal meraviglioso angolino che abbiamo creato per il Big Blue Festival: il nostro ArgoBook Shop, nuovo di zecca.
Autori, sempre loro: Fenoglio, Casini, Pasqua.
Giuro che questa volta, ancora di più, vorrei poter entrare nella magia che li spinge a scrivere in tre una storia che sa di una persona soltanto.
Inutile dire che l’ho letto in pochissimi giorni. Catturata, trascinata in mezzo alle pagine dal bordo rosso, leggera come una foglia di ciliegio che vola e si posa sulle parole.
Sì, perchè questo libro parla di Giappone anche se la protagonista vive in Italia; questo libro è tutto permeato dall’influsso miyazakiano anche se racconta un’altra storia.
Sofia, diciotto anni.
Nerd incompresa in un piccolo paese che i suoi occhi pieni di meraviglia dipingono comunque come un posto incantevole, che somiglia tanto ai paesaggi degli Anime che tanto ama.
“Si presenta in tutto e per tutto come un borgo uscito fuori da un fantasy […] A guardarlo dall’alto, sembra più un sinuoso lombrico incastratosi nel bel mezzo di una scenografia di case basse, perlopiù costruite in pietra o in tufo, caratterizzate da graziose scalette esterne che affiancano balconi sempre adorni di fiori e di piante rampicanti.”
C’è il fiume, che le fa compagnia con la sua musica.
C’è Baron, il gatto rosso.
C’è Marta, l’amica roccia di cui tutte abbiamo bisogno. Sincera, leale, presente.
E c’è, in qualche modo, nonno Guido.
“Non tradire mai il tuo talento.”
Cosa le manca allora, a Sofia?
Ha diciott’anni. Le manca tutto e non le manca niente.
Si porta dentro una nostalgia di secoli, di cose mai vissute e di quelle ancora da vivere.
Eternamente combattuta tra ambizione e amore, tra bisogno di comprensione e desiderio di affermazione.
Tra paura e coraggio.
Devo ammetterlo, all’inizio ho pensato che fossero troppi, diciott’anni, per descrivere una ragazza così, in questo tempo fatto di Instagram e hasthag.
Poi ho pensato che forse a stonare fosse proprio quello: entrare dentro l’anima di questa Sofia come fosse la mia, quando diciott’anni li avevo intorno ai famigerati 2000.
E alla fine ho capito.
Lo possiamo leggere tutti, proprio tutti, questo libro.
Perché parla di cose vere che chiunque di noi ha vissuto, seppure in epoche differenti, in contesti e con strumenti diversi.
Perché va al cuore di queste cose e lo fa con un mezzo usato in modo semplice e chiaro: il linguaggio, le parole.
Che meraviglia!
Senza contare il pizzico di magia, spruzzato qua e là, a colori sopra un muro o in mezzo a coincidenze che sembrano assurde ma che se ci pensate un po’ più a fondo, non è affatto raro che possano accadere nel reale.
Da dove le prenderebbero altrimenti, questi tre bravi autori, per raccontarcele?
No, non è tutto, solo merito di Miyazaki.
Fatevelo un regalo, tornate i diciottenni che siete stati o che avreste voluto essere.
Sognate tutti un po’ di più, dentro questo presente.
© Erika Carta