“Indicibili sono i colori dell’acqua, perché non si può chiamare per nome la luce che l’accende di giorno – trasparente, blu, cristallo, perla – e la spegne di notte – nero, vino, luna”.
Il mare.
Così lo descrive Andrea Marcolongo nelle prime pagine de “La misura eroica”, e così lo ritrovo ogni volta che ho il primordiale bisogno di andare a guardarlo, figlia della mia isola.
Lo vedo perfino ad occhi chiusi o quando bene aperti, ne leggo.
In queste duecento pagine circa, la Marcolongo racconta “il coraggio che spinge gli uomini ad amare” (nel senso più ampio del termine, aggiungo io) e lo fa attraverso due storie, amalgamate tra loro con tenera maestria.
Ogni capitolo si apre con un breve pensiero tratto dal manuale in lingua inglese del 1942: “How to abandon ship”, dove l’autrice scorge l’importanza di resistere ai naufragi della vita, piuttosto che fuggire, abbandonare.
“La tua nave è progettata per resistere alle tempeste più di quanto lo sia tu, marinaio”.
Il passo poi è lasciato a una grande storia, un mito greco che risale all’età micenea.
Racconta di Giasone, giovane ragazzo figlio di Esone che fu re della città di Iolco, che pur di sottrarre il trono al malvagio zio, Pelia, accetta la sua sfida: “Và alla ricerca del vello d’oro. Vediamo se ci riesci”.
Era bastato questo a muovere, nella profondità dell’anima, la sua voglia di partire, tralasciare la sicurezza della terra madre per cercare altrove e tornare, dal viaggio, diverso.
Altri cinquanta giovani vollero seguirlo nell’impresa.
D’altronde è a noi chiaro che superare quella soglia significava crescere, maturare, ad ogni modo. Muoversi.
E, come un Peter Pan al contrario, restare fermi avrebbe significato rimanere eternamente giovani, ignari.
“Quei ragazzi pronti a salpare furono per sempre chiamati con il nome della nave cui avevano scelto di appartenere: Argonauti”.
[…] Fu allora che, per la prima volta nella storia dell’uomo, una nave, scivolò dentro il mare […]
La nave era femmina e sotto la prua, nella chiglia, aveva intagliato il viso di Atena, colei che l’aveva costruita, non certo perché rimanesse ferma in porto.
“La nave Argo era bellissima. Argo era stata fatta per navigare verso l’ignoto, e poi tornare a casa”.
Questa frase mi riporta inevitabilmente a un’altra, nata dalla penna di T.S. Elliot:
“Non smetteremo mai di esplorare. E alla fine di tutto il nostro andare, ritorneremo al punto di partenza per conoscerlo per la prima volta”. Motto, se così vogliamo chiamarlo, che mi è entrato dentro radicando ancora più profondamente la consapevolezza che ogni passo è, a sé, un viaggio. E che mai torneremo uguali a come siamo partiti. Si tratta di prospettive.
“Nel mezzo c’è tutto il resto, e tutto il resto è giorno dopo giorno…”
Lo so, questo articolo è un continuo richiamo, da una citazione a un’altra. Ma è la mia spirale emotiva, piena e aperta.
Non credo di fare spoiler se dico che Giasone tornò eccome nella sua Tessaglia, con il vello d’oro, mutato per sempre nel profondo del suo essere, da ogni avventura vissuta per mare e nelle altre isole, con le persone. Insieme a Medea.
“La misura eroica era data dall’esperienza di superare se stessi, non dal risultato”.
E certo, nulla sarebbe stato possibile se non fosse stato per l’amore: la più grande forza, unica e necessaria a muovere ogni cosa.
E a chi, stolto e apatico dice è impossibile, la Marcolongo risponde:
“Se solo non ci dimenticassimo che un tempo siamo stati Argonauti cui nulla importava se tutti dicevano è impossibile, per noi non solo era possibile, ma doveroso. Avevamo urgenza, bisogno di provare per poi vivere”.
D’altronde “fallire non significa non inciampare mai, ma scegliere di restare a terra”.
Questo mito senza tempo ha incantato gli uomini di ogni epoca.
Nel 1382 un ordine segreto di rivoluzionari anarchici comparve a Napoli facendosi chiamare gli Argonauti di San Nicola.
Nel 1945 la conferenza di Yalta che pose fine alla seconda guerra mondiale fu inizialmente denominata La conferenza degli Argonauti.
Nello sport il club dì football con il nome originario più antico nel Nordamerica fu coniato nel 1873: i Toronto Argonauts.
Diverse navi hanno preso ispirazione dalla prima Argo, per i loro nomi, compreso il primo sottomarino della storia.
E poi ci siamo noi.
“Come sinonimo di squadra, di solidarietà e di coesione tra amici”.
A bordo della nostra nave che solca questo mare sempre mutevole, un po’ Argo un po’ Nautilus
“Ogni giorno, a partire dalle vele srotolate di Argo, ci mettiamo per mare affrontando venti e tempeste per arrivare a riva, ovvero per diventare diversi da come siamo partiti, superando la linea d’ombra e varcando la nostra soglia.
[…] Non stai forse navigando anche tu, come tutti noi, umani e contemporanei Argonauti , attraverso i mari che ci separano dall’essere grandi, a qualunque età?”