“Sono sicuro che, leggendo la mia storia, strillerete di paura. Pazienza. Bisogna pur dire le cose come stanno.”
La bambina lettrice che è in me sta scalpitando.
La vedo seduta, stringere uno dei suoi libri preferiti, “Le streghe” di Roald Dahl, e sbattere i piedi.
No no e no.
Ed è da lei che vi farò chiedere: ma cosa state combinando?
Perché me la ricordo molto consapevole, quella bambina che assimilava con purezza i messaggi in fondo ai libri. E li comprendeva, poi.
Proprio grazie a quella magia, alle parole che già leggeva e già condivideva, aveva ben chiaro cosa fosse giusto e cosa sbagliato fuori dai libri.
Certo, la fantasia poi faceva il suo beato corso, come per esempio guardare il viso di una donna e cercare di capire se avesse “le narici un po’ più grandi del normale, con il bordo roseo e leggermente incurvato, come quello di certe conchiglie”.
Al tempo, credo di averla individuata una strega. E tutt’oggi, sono abbastanza sicura di non essermi mai sbagliata.
Mi chiedo quanto ancora potrà allargarsi il baratro in cui ci siamo gettati a un certo punto della nostra esistenza in società.
Brulicanti in questo buio tondo, i passi meccanici, gli occhi chiusi. A far finta di spiegare le cose e invece coprirle sotto montagne di perbenismo nocivo.
Un po’ del senso critico che appunto mi si è formato tempo addietro, mi ha fatto domandare se siamo noi a esser cresciuti sbagliati e ora sbagliamo a indignarci così tanto.
No.
Perché i bambini, anche quelli di oggi, le cose brutte le vedono come le vedevamo noi, insieme a quelle belle.
E cancellarle dai libri li renderà soltanto più isolati e indifesi. Senza un riscontro, senza parole non tanto per dire, quanto per capire.
Senza confronto, instradati in una via come se fosse facilmente percorribile, come se fosse l’unica possibile.
Magari.
Già, la nostra generazione è alle prese con un carosello di disillusioni che la metà basta, non possiamo accettare che ci venga estirpata pure la cultura che ha concorso a definirci.
Come glielo raccontiamo se no, ai “prossimi grandi” chi siamo stati, perché ora siamo così e che ci impegneremo, insieme a loro, a divenire?
Con quali parole se ce le togliete?
“Tesoro mio”, disse infine la nonna ”sei sicuro che non ti dispiace essere un topo per tutto il resto della tua vita?”
“Sicurissimo” dissi. ”Non importa chi sei né che aspetto hai. Basta che qualcuno ti ami.”
©Erika Carta